Il cuoco generoso

Il cuoco generoso

Un re molto potente volle fare un banchetto per il figlio che arrivava a casa dopo aver girato per le galassie del cielo.
Ma quando il figlio arrivò subito si accorse che c’era qualcosa che non andava bene.
Il giovane era sempre triste, spento, come se tutto quel girovagare per le stelle, i pianeti e i vari satelliti l’avesse sfinito.
Allora il re decise di far curare il suo unico figlio e decise perciò di chiamare i tre medici più bravi e famosi della terra.

Arrivò il primo medico che visitò il giovane e disse:

“Ho capito… questo ragazzo ha bisogno di oro, di tanto oro, perché dopo aver visto tutte le stelle del cielo sicuramente adesso sente la mancanza del loro luccichio…e quindi è triste per questo!”
Così il re fece portare tutto l’oro del mondo e riempì una stanza.
Sì, per un po’ di tempo, qualche giorno, il giovane sembrò un po’ più contento, però dopo un po’ ritornò ad essere triste.
Allora il re chiamò un altro dottore, il quale disse:
“Ho capito… questo ragazzo ha bisogno di una bella giostra, perché dopo aver girato tutti i cieli con la sua navicella spaziale, sicuramente sente la mancanza del movimento e di tutta l’ebrezza che ha provato!”
Il re gli fece avere la giostra più bella e grande che si fosse mai vista ed effettivamente per qualche giorno il giovane fu un po’ più contento.

Ma poi si stufò anche della giostra e divenne più triste di prima.

Allora il re fece chiamare il terzo medico che visitò il ragazzo e disse:
“Ho capito… questo ragazzo ha bisogno di stare in spazi aperti.
È molto triste, perché dopo aver vissuto nei cieli sconfinati adesso si trova a vivere in un castello che, per grande che sia, per lui è un posto molto piccolo ed angusto!”
Allora il re portò il figlio in un posto meraviglioso con prati, cascate, ruscelli, fiumi…
Ed effettivamente per qualche giorno il giovane fu contento, ma dopo un po’ divenne ancora più triste di prima.

Il re, disperato e piangente, non sapeva più cosa fare.

Aveva chiamato i dottori più bravi della terra, ma senza alcun risultato.
Intanto un cuoco di corte che aveva sentito della malattia del giovane principe ed era molto dispiaciuto si avvicinò al re e gli fece una proposta:
“Forse, mio sire, il giovane principe ha solo bisogno di un buon pranzetto…
Ormai i dottori hanno fatto tutto il possibile, perché non lasciate fare a me che so cucinare piatti prelibati?”
Allora il re decise di provare quest’ultima possibilità.
Tutti i giorni il giovane cuoco si recava dal principe e gli faceva assaggiare un po’ per volta, perché il giovane aveva anche perso l’appetito, i piatti preparati da lui e si intratteneva con il principe, gli raccontava quello che succedeva al castello e ascoltava volentieri i meravigliosi viaggi nelle galassie che il principe aveva compiuto in quegli anni… e un po’ per volta il principe guarì completamente dalla sua malattia.

Brano di Maria Macrì

Il barilotto

Il barilotto

Tempo fa, in una terra lontana, viveva un signore potente e famoso in ogni angolo del regno.
Sull’orlo di una nera scogliera aveva fatto costruire una roccaforte così solida e ben armata, da non temere né re, né conti, né duchi, né principi, né visconti.
E questo possente signore aveva un bell’aspetto, nobile e imponente.
Ma nel suo cuore era sleale, astuto e ipocrita, superbo e crudele.
Non aveva paura né di Dio né degli uomini.
Sorvegliava come un falco i sentieri e le strade che passavano nella regione e piombava sui pellegrini e mercanti per rapinarli.
Aveva da tempo calpestato tutte le promesse e le regole della cavalleria.

La sua crudeltà era divenuta proverbiale.

Disprezzava apertamente la gente e le leggi della Chiesa.
Ogni Venerdì santo invece di digiunare e rinunciare a mangiare carne organizzava grandi festini e lauti banchetti per i suoi cavalieri.
Si divertiva a tiranneggiare vassalli e servitù.
Ma un giorno, durante un combattimento, un colpo di balestra lo ferì gravemente ad un fianco.
Per la prima volta, il crudele signore provò la sofferenza e la paura.
Mentre giaceva ferito, i suoi cavalieri gli fecero balenare davanti agli occhi la gola spalancata e infuocata dell’inferno a cui era sicuramente destinato se non si fosse pentito dei suoi peccati e confessato in chiesa.

“Pentirmi io? Mai!

Non confesserò neppure un peccato!” tuttavia il pensiero dell’inferno gli provocò un po’ di spavento salutare.
A malincuore gettò elmo, spada e armatura e si diresse a piedi verso la caverna di un santo eremita.
Con tono sprezzante, senza neppure inginocchiarsi, raccontò al santo frate tutti i suoi peccati:
uno dietro l’altro, senza dimenticarne neppure uno.
Il povero eremita si mostrò ancora più afflitto:
“Sire, certamente hai detto tutto, ma non sei pentito.
Dovresti almeno fare un po’ di penitenza, per dimostrare che vuoi davvero cambiare vita!”
“Farò qualunque penitenza.
Non ho paura di niente, io!
Purché sia finita questa storia!” replicò il signore.
“Digiunerai ogni Venerdì per sette anni…!” disse allora il santo eremita.

“Ah, no! Questo puoi scordartelo!” rispose il crudele signore.

“Vai in pellegrinaggio fino a Roma…” suggerì allora l’eremita.
“Neanche per sogno!” esclamò il cavaliere.
“Vestiti di sacco per un mese…” proseguì l’eremita.
“Mai!” continuò il crudele signore.
Il superbo cavaliere respinse tutte le proposte del buon frate, che alla fine propose:
“Bene, figliolo.
Fa’ soltanto una cosa:
vammi a riempire d’acqua questo barilotto e poi riportamelo!”
“Scherzi?
È una penitenza da bambini o da donnette!” sbraitò il cavaliere agitando il pugno minaccioso.
Ma la visione del diavolo sghignazzante lo ammorbidì subito.
Prese il barilotto sotto braccio e brontolando si diresse al fiume.
Immerse il barilotto nell’acqua, ma quello rifiutò di riempirsi.
“È un sortilegio magico,” ruggì il penitente, “ma ora vedremo!”

Si diresse verso una sorgente:

il barilotto rimase ostinatamente vuoto.
Furibondo, si precipitò al pozzo del villaggio.
Fatica sprecata!
Provò ad esplorare l’interno del barilotto con un bastone:
era assolutamente vuoto.
“Cercherò tutte le acque del mondo!” sbraitò il cavaliere, “Ma riporterò questo barilotto pieno!”
Si mise in viaggio, così com’era, pieno di rabbia e di rancore.
Prese ad errare sotto la pioggia e in mezzo alle bufere.
Ad ogni sorgente, pozza d’acqua, lago o fiume immergeva il suo barilotto e provava e riprovava, ma non riusciva a fare entrare una sola goccia d’acqua.
Anni dopo, il vecchio eremita vide arrivare un povero straccione dai piedi sanguinanti e con un barilotto vuoto sotto il braccio.
Le lacrime scorrevano sul suo volto scavato.
Una lacrima piccola piccola scivolando sulla folta barba finì nel barilotto.
Di colpo il barilotto si riempì fino all’orlo dell’acqua più pura, più fresca e buona che mai si fosse vista.

Brano tratto dal libro “Parabole e storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero

Il segreto del paradiso

Il segreto del paradiso

Una volta un samurai grosso e rude andò a visitare un piccolo monaco.
“Monaco,” gli disse, “insegnami che cosa sono l’inferno e il paradiso!”
Il monaco alzò gli occhi per osservare il potente guerriero e rispose con estremo disprezzo:

“Insegnarti che cosa sono l’inferno e il paradiso?

Non potrei insegnarti proprio niente.
Sei sporco e puzzi, la lama del tuo rasoio si è arrugginita.
Sei un disonore, un flagello per la casta dei samurai.
Levati dalla mia vista, non ti sopporto.”

Il samurai era furioso.

Cominciò a tremare, il volto rosso dalla rabbia, non riusciva a spiccicare parola.
Sguainò la spada e la sollevò in alto, preparandosi a uccidere il monaco.
“Questo è l’inferno!” mormorò il monaco.

Il samurai era sopraffatto.

Quanta compassione quanta resa in questo ometto che aveva offerto la propria vita per dargli questo insegnamento, per dimostrargli l’inferno!
Lentamente abbassò la spada, pieno di gratitudine e improvvisamente colmo di pace.
“E questo è il paradiso!” mormorò il monaco.

Brano tratto dal libro “L’importante è la rosa.” di Bruno Ferrero

Il Re, il mendicante e la mela

Il Re, il mendicante e la mela

Ogni mattina, il potente e ricchissimo re di Bengodi riceveva l’omaggio dei suoi sudditi.
Aveva conquistato tutto il conquistabile e si annoiava un po’.
In mezzo agli altri, puntuale ogni mattina, arrivava anche un silenzioso mendicante, che porgeva al re una mela.

Poi, sempre in silenzio, si ritirava.

Il re, abituato a ricevere ben altri regali, con un gesto un po’ infastidito, accettava il dono, ma appena il mendicante voltava le spalle cominciava a deriderlo, imitato da tutta la corte.
Il mendicante non si scoraggiava.
Tornava ogni mattina a consegnare nelle mani del re il suo dono.
Il re lo prendeva e lo deponeva macchinalmente in una cesta posta accanto al trono.

La cesta conteneva tutte le mele portate dal mendicante con gentilezza e pazienza.

E ormai straripava.
Un giorno, la scimmia prediletta del re prese uno di quei frutti e gli diede un morso, poi lo gettò sputacchiando ai piedi del re.
Il sovrano, sorpreso, vide apparire nel cuore della mela una perla iridescente.
Fece subito aprire tutti i frutti accumulati nella cesta e trovò all’interno di ogni mela una perla.

Meravigliato, il re fece chiamare lo strano mendicante e lo interrogò.

“Ti ho portato questi doni, sire,” rispose l’uomo, “per farti comprendere che la vita ti offre ogni mattina un regalo straordinario, che tu dimentichi e butti via, perché sei circondato da troppe ricchezze.
Questo regalo è il nuovo giorno che comincia!”

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua” di Bruno Ferrero