Il segreto del cacciatore

Il segreto del cacciatore

In un villaggio dell’Africa, c’era una volta un giovane cacciatore.
Un giorno s’inoltrò nella foresta.
Seguiva ormai da molte ore le tracce di un leone.
Camminava guardingo, pronto a scagliare la lancia:
doveva essere un leone enorme, a giudicare dalle impronte che lasciava.
Improvvisamente udì uno schianto secco di rami, mentre risuonava un rabbioso ruggito.
La giungla piombò in un silenzio terrorizzato.

Il giovane attendeva, fermo…

Ma dal fitto della giungla uscì una bellissima fanciulla.
Il giovane, come emergendo da un incubo, sorrise.
Tra i due fiorì subito una grande simpatia.
Il giovane, però, non sapeva una cosa importante:
quella ragazza non era altri che il più feroce leone della foresta, il re dei leoni, che aveva il potere di trasformarsi in quello che voleva.
Qualche giorno dopo la ragazza andò al villaggio a trovare il giovane.
Conversarono allegramente, come avessero tante cose da dirsi.
A un tratto, facendosi seria, la ragazza si interruppe e chiese:
“Come fai a dare la caccia ai leoni, senza aver paura di venire sbranato?”
Lui sorrise, poi le confidò che era un segreto, proprio un segreto che lui aveva:
poteva trasformarsi in albero, in fiore, in roccia, in a…
In quel momento s’affacciò all’uscio della capanna sua madre, che gli fece un cenno, come per dirgli:

“Non dire tutto a chi non conosci bene!”

Il sole era vicino al tramonto e il giovane cacciatore si offrì di accompagnare a casa la sua nuova amica.
La strada lasciava il villaggio e si inoltrava subito nella foresta.
Dopo un po’ la ragazza chiese:
“Conosci questo posto?”
“Oh sì, ci venivo a giocare da bambino!” rispose il ragazzo.
Camminarono ancora per un lungo tratto.
“Conosci questo posto?” chiese di nuovo la ragazza.
“Vedi quel gruppo di banani laggiù?
Vengo spesso fin qui!” replicò lui.
Proseguirono in silenzio.
“E questo posto lo conosci?” domandò ancora la ragazza.
“Sì, mi pare di sì.
Ci sono venuto con mio padre!” spiegò il ragazzo.
Ripresero a camminare.
Il sole ormai era quasi al tramonto e la foresta diventava sempre più nera.

“E questo lo conosci?” lo interrogò lei.

Il giovane si guardò attorno a lungo, poi si volse verso la ragazza per dire che no, quel posto non lo conosceva…
Ma di fronte a lui c’era un leone enorme pronto a saltargli addosso e stritolarlo con le possenti zanne.
Immediatamente il giovane si trasformò in albero; ma anche il leone si trasformò in albero.
Divenne un fiore; anche il leone si mutò in fiore.
Allora divenne roccia; il leone a sua volta si trasformò in roccia.
Il giovane divenne a…
Il leone si fermò.
Non vedeva più il cacciatore.
Non capiva.
Non sapeva più nulla del segreto del cacciatore.
Ebbe paura.
A grandi balzi, ruggendo di rabbia, scomparve nella foresta.
Il giovane ritornò a casa di corsa e, ancora ansimando, raccontò tutto a sua madre.
“Hai visto?” disse la madre, “Non si racconta tutto a chi non si conosce!”

Brano di Bruno Ferrrero

La cocorita Francesca

La cocorita Francesca

In una giungla piena di suoni e di colori, viveva una cocorita che aveva il carattere festoso e vivace come le sue piume azzurre, verdi, oro e arancione.
Si divertiva a svolazzare nell’intrico dei rami, giocava a nascondino con altri pappagallini colorati e con i bengalini candidi.
Si chiamava Francesca e ovunque arrivava riusciva a comunicare la sua intensa gioia di vivere.
Perfino le scimmie, che non sopportavano cocorite e pappagallini, facevano eccezione per la cocorita Francesca.
Era un uccellino felice, grato di essere vivo e di avere avuto in dono un paio di ali per volare e un bellissimo vestito di piume morbido e screziato.
Ogni mattina, appena il sole irrompeva attraverso lo spesso fogliame, si levava il suo grido:

“È una bellissima giornata!

Forza fratelli, non fate i pigroni, spalancate le ali: il cielo è tutto nostro!”
E incominciava a tracciare arabeschi nell’aria, come un fiore multicolore portato dal vento.
Ma, un brutto giorno, il cielo sulla foresta si fece improvvisamente nero e minaccioso come una palude senza sole.
Un silenzio pesante, pieno di paura, attanagliò le creature della giungla.
Le cocorite si strinsero tremanti le une alle altre, a formare una nube tremante.
Un vento violento afferrò le chiome degli alberi più alti e cominciò a scuoterli come se volesse sradicarli, rovesciando nidi e piccoli pappagallini che non sapevano ancora volare.
Poi cominciò la sarabanda dei tuoni e dei fulmini.
Staffilate di fuoco sibilavano dal cielo e colpivano senza pietà i vecchi tronchi, finché improvvisa si levò una fiamma e un albero centenario prese fuoco, urlando il suo dolore, con i rami nodosi levati verso il cielo come un’ultima disperata invocazione di aiuto.
“Il fuoco!
Si salvi chi può!” tutte le lingue animali della foresta gridarono all’unisono il loro terrore.
Migliaia di animaletti cominciarono a fuggire, ma il fumo acre e impenetrabile toglieva loro il respiro, faceva bruciare gli occhi e impediva crudelmente di vedere le vie di scampo.
La cocorita Francesca volava affannata, cercando di guidare i più piccoli e i più spaventati:
“Di qua!
Correte di qua!

Il fiume è da questa parte!”

Molti animali, sentendo il suo grido, si affrettarono a fuggire verso il corso d’acqua, altri invece finivano intrappolati dal fuoco e dal fumo.
Francesca, invece di mettersi in salvo, come tutti gli uccelli, continuava a sorvolare i più sfortunati, cecando un modo per aiutarli.
La disperazione le suggerì un’idea.
Volò sino al fiume che scorreva ai margini della foresta e lì si immerse nelle acque scure.
Poi riemerse con il corpicino intriso d’acqua e volò sull’inferno di fiamme, scrollando e scuotendo le piume per liberare le gocce d’acqua e farle piovere sulle fiamme.
Incurante del pericolo, sfiorando coraggiosamente le fiamme, tornò indietro e si immerse di nuovo nel fiume.
Poi, via!
“A scagliare il suo carico prezioso sul fuoco che continuava a ruggire.
Piccole gemme piovevano sul rogo.
Una cosa insignificante, ma la cocorita coraggiosa e testarda ripeté più e più volte il suo viaggio tra il fiume e le fiamme.
Le sue belle piume erano tutte bruciacchiate e il suo colore era quello della cenere, non riusciva più a tenere aperti gli occhi, ma non le importava.
“Che altro posso fare!” si ripeteva, “Solo volare, ed io volerò fino allo stremo delle forze pur di salvare una sola vita!”
Due occhi acuti, ma vagamente annoiati osservavano tutto dall’alto.
Un gigantesco avvoltoio veleggiava, godendosi lo spettacolo della giungla in fiamme.
Scorse la cocorita impegnata nella sua lotta contro il fuoco e sghignazzò:

“Che stupida bestia.

Come può pensare di domare il fuoco con quattro gocce d’acqua?
Chi ha mai visto una cosa del genere?”
Il coraggio dell’uccellino però lo aveva commosso un po’ e scese in picchiata verso la foresta in fiamme.
La cocorita stava ancora sfidando il fuoco quando vide apparire al suo fianco l’enorme avvoltoio dagli occhi gialli.
“Vattene, uccellino, il tuo compito è senza speranza!” gracchiò imperioso l’avvoltoio, “Cosa possono fare poche gocce d’acqua contro questo inferno?
Vola lontano prima che sia troppo tardi!”
“Non posso.
Devo fare qualcosa, devo tentare!” rispose la cocorita.
“Guarda in che stato sei!” continuò l’avvoltoio, “Fra un po’ finirai in una fiammata, mi sembri un tizzone affumicato!”
“Riesco ancora a volare…
Qualcosa farò!” replicò la cocorita.
“Ma che ti importa di loro?
Non hanno mai fatto niente per te.” esclamò l’avvoltoio.

“Sono miei amici:

li voglio salvare.” spiegò la cocorita.
La cocorita, stremata e ferita non ascoltava più.
Ostinata, continuava a fare la spola tra l’acqua e il fuoco.
L’avvoltoio, prima di sparire oltre le colonne di fumo, gridò:
“Basta!
Fermati stupida piccola cocorita!
Salva te stessa!”
Francesca era irremovibile.
“Ci mancava anche l’avvoltoio con i suoi consigli!” brontolava, “Consigli!
Anche la nonna e tutti i miei parenti mi direbbero le stesse cose.
Non ho bisogno di consigli, ma di qualcuno che mi aiuti!”
Proprio in quel momento, un gran frullare di ali riempì il cielo.
Una nube colorata, gialla, verde, blu, rossa e bianca si affiancò alla piccola cocorita.
Migliaia e migliaia di cocorite, pappagallini, bengalini, tucani, uccelli piccoli e grandi, si immergevano nell’acqua e andavano a scrollare le piume sul fuoco.
Le fiamme erano violente, ma gli uccelli erano milioni e arrivavano a ondate successive, senza smettere mai.

Come stupito, il fuoco si arrestò.

E cominciò lentamente a sfrigolare e illanguidire.
La cocorita Francesca, insieme alle poche gocce d’acqua che aveva raccolto, scagliò sulle fiamme anche le sue lacrime.
Ma erano lacrime di gioia.
“Grazie.” mormorò e cadde a terra, senza più un filo di forza.
Quando si risvegliò il temporale era scoppiato e l’acqua del cielo stava completando l’opera iniziata dalla coraggiosa cocorita.
“Urrà per Francesca!” gridarono gli abitanti della foresta, che le stavano tutti intorno.
La piccola cocorita aprì gli occhi e disse:
“È una bellissima giornata!”

Brano tratto dal libro “Storie belle e buone.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.