La farfalla ed il cavolfiore

La farfalla ed il cavolfiore

Era una bella mattina di primavera e il sole scaldava il prato verde, trapuntato di fiori.
Su uno di essi aveva dormito una bella farfalla che, stiracchiandosi, distese le ali variopinte per asciugarle ai tiepidi raggi del sole e poi si librò nell’aria, cominciando a curiosare qua e là.

Giunta sulla riva d’uno stagno, si rimirò nell’acqua ferma che le faceva da specchio.

“Quanto sono bella!” pensò la farfalla e, felice, si mise a volare in giro per farsi vedere ed ammirare da tutti.
Ad un certo punto, però, cominciò a sentire un po’ d’appetito.
Istintivamente volò verso un orto dove c’era una distesa di cavoli freschi e turgidi.
Si fermò sul più grosso e bello, provò ad assaggiarlo, succhiò un po’, ma subito si ritrasse disgustata.
“Puah!

Che cattivo odore e che saporaccio!

Ho fatto male a venire qui nell’orto, dovevo andarmene in qualche bel giardino ricco di rose e garofani, di dalie e giunchiglie profumate.
Il cibo dell’orto non fa per me, io ho bisogno di cose più delicate.
“Hai cambiato gusto a quel che sembra!” osservò ironicamente il cavolfiore offeso, “Ti ho conosciuto in ben altre condizioni, bella mia, quando eri meno elegante e colorata.
Ricordo bene quando eri un bruco nudo e crudo, per niente bello da vedere, e fui proprio io a darti cibo e alloggio.”
“Il cibo dell’orto non fa per me, io ho bisogno di cose più delicate!” rispose risentita la farfallina.
“Allora il sapore delle mie foglie ti sembrava buono e appetitoso.
Ora che sei cresciuta, cambiata, rivestita di seta e di splendidi colori, frequenti giardini profumati e disdegni i buoni amici d’un tempo…

Hai poca memoria e troppa boria!

Sei bella, sì…
ma non sei buona se disprezzi chi ti ha cresciuta senza chiederti niente.”
La farfalla, tutta rossa per la vergogna, se ne volò via.

Brano tratto dal libro “Orizzonti della scuola primaria 2: Guida didattica digitale sfogliabile di italiano.” Casa Editrice Tredieci Srl.

L’oroscopo personale

L’oroscopo personale

Non tutti gli anni che viviamo durante la nostra vita sono uguali; basta vedere questo 2020 quanto sconquasso ha portato per colpa del coronavirus.
Anche alcuni giorni iniziano apparentemente uguali, ma cambiano senza neanche saperne il perché;

basta crederci in modo da farli diventare unici.

Anni fa mi capitò di recarmi come turista a Venezia, con un treno locale, in una bella giornata fra tanta bella gente.
Vedere dai finestrini il susseguirsi della campagna veneta mi ha sempre messo di buon umore.
Contemporaneamente nella mia mente componevo poesie in piena libertà, momenti unici che fanno tanto bene al cuore.
Dopo alcune fermate, sul treno salì un mio caro amico di infanzia che, sedendosi di fronte, mi chiese come andasse.

Gli risposi:

“Bene! Alla grande! Oggi sono proprio contento, sento dentro di me una forza positiva che sarei capace di far alzare in piedi mezza carrozza.”
Il mio amico replicò:
“Sei sempre il solito che si fa l’oroscopo da solo!”
Allora mi alzai di scatto e guardando fuori dal finestrino esclamai ad alta voce:

“Guarda! Guarda quante pecorelle!”

Non ci crederete, ma mezza carrozza passeggeri si alzò in piedi contemporaneamente per guardare fuori sperando di vedere un gregge.
Il mio amico, ma anche tutti gli altri passeggeri, non vedendo niente, si stizzirono.
Con molta tranquillità esclamai:
“Nuvole, cari amici, nuvole a pecorelle!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il più forte

Il più forte

Un giorno, la pietra disse:
“Sono la più forte!”
Udendo ciò, il ferro disse:
“Sono più forte di te!
Vuoi vedere?”
Subito, i due lottarono, fino a quando la pietra fu ridotta in polvere.

Il ferro disse a sua volta:

“lo sono il più forte!
Udendolo, il fuoco disse:
“lo sono più forte te!
Lo vuoi vedere?”
Allora i due lottarono finché il ferro fu fuso.
Il fuoco disse a sua volta:
“lo sì che sono forte!”
Udendo ciò, l’acqua disse:
“lo sono più forte di te!
Se vuoi te lo dimostro.”
Allora, lottarono fin quando il fuoco fu spento.
L’acqua disse a sua volta:
“Sono io la più forte!”
Udendola il sole disse:
“Io sono più forte ancora!
Guarda!”
I due lottarono finché il sole fece evaporare l’acqua.

Il sole disse a sua volta:

“Sono io il più forte!”
Udendolo, la nube disse:
“lo sono più forte ancora!
Guarda!”
I due lottarono finché la nube nascose il sole.
La nube disse a sua volta:
“Sono io la più forte!”
Ma il vento disse:
“Io sono più forte di te!
Te lo dimostro!”
Allora i due lottarono fin quando il vento soffiò via la nube ed essa sparì.
Il vento disse a sua volta:
“Io sì che sono forte!”
I monti dissero:
“Noi siamo più forti di te!
Guarda!”
Subito i due lottarono fino a che il vento restò preso tra le catene dei monti.

I monti, a loro volta, dissero:

“Siamo i più forti!”
Ma sentendoli, l’uomo disse:
“Io sono più forte di voi!
E, se lo volete vedere…”
L’uomo, dotato di grande intelligenza, perforò i monti, impedendo che bloccassero il vento.
Dominando il potere dei monti, l’uomo proclamò:
“Io sono la creatura più forte che esista!”
Ma poi venne la morte, e l’uomo che si credeva intelligente e tanto forte, con un ultimo respiro, morì.
La morte a sua volta disse:
“Sono io la più forte!
Perché prima o poi tutto muore e finisce nel nulla!”
La morte già festeggiava quando, inatteso, venne un uomo e, dopo soli tre giorni dalla morte, risuscitò, vincendo la morte. (Pasqua)
Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo…

Brano senza Autore.

L’abbraccio del Signore

L’abbraccio del Signore

Nella bella cattedrale di Wùrzburg, in Germania, si trova una veneranda Croce del XIV secolo.
Il Signore ha le mani staccate dalla traversa e le tiene incrociate una sull’altra sul petto, avendo i chiodi ancora tra le dita.

Una leggenda racconta che un ladro incredulo,

vista la corona d’oro sulla testa del Re crocifisso, stese la mano per prenderla.
In quel preciso istante il Signore staccò le mani e i chiodi dalla croce, s’inchinò in avanti, abbracciò il ladro e lo accostò al suo cuore.
“Quali furono i pensieri che attraversarono la mente di quell’uomo?
Vergogna… pentimento… riconoscenza… desiderio di non staccarsi più da quell’abbraccio?”

Lo trovarono svenuto.

Da quel tempo Cristo non ha mai più riallargato le sue braccia, ma ha continuato a tenerle cosi, come sono ora, come se volesse sempre stringere al cuore l’uomo peccatore, guardandolo profondamente negli occhi, per donargli occhi capaci di vedere la sua gloria e il suo grande amore.

Brano tratto dal libro “Gesù insegnò in parabole 2° – Omelie per fanciulli ciclo C.” Editrice Domenicana Italiana.

La moto in soggiorno

La moto in soggiorno

Agli inizi degli anni sessanta, un ragazzo, di nome Claudio, aveva prestato servizio militare in Friuli, nel corpo degli alpini.
Aveva trascorso tranquillamente quel periodo, nonostante le difficoltà della vita militare e del suo ruolo di conducente di muli, dato che aveva trovato una fidanzatina durante le ore di libera uscita.

Tornato nel suo Veneto, aveva intrapreso con la sua amata una fitta corrispondenza epistolare.

Tra le cose che lei gli chiedeva, una di queste era di mandare foto significative da esibire alle amiche ed ai parenti.
Claudio, nella ristrettezza degli anni sessanta, non sapeva cosa inviarle, perché di modesta famiglia contadina.
Si comprò, allora, con i sudati risparmi e qualche debito, come tanti giovani di allora, una moto Vespa nuova, per fare bella figura con la fidanzata, essendo un bene di prestigio molto di moda.
Costretto al risparmio forzato, pensò di fare un’unica foto includendo la vetrinetta del soggiorno, anch’essa nuova, con dentro in bella mostra le porcellane ed i calici di pregio.

Per fare questo, spinse la moto in soggiorno per immortalare il tutto.

Preso dall’orgoglio del nuovo acquisto, in attesa dell’amico fotografo, pensò di far sentire il rombo del motore alla madre, accelerando al massimo.
La madre stava dall’altra parte della moto, e sentendosi anche lei entusiasta, in quello stesso momento ingranò la marcia per sbaglio, mandando la moto a sbattere violentemente contro la vetrina, mandando in frantumi il prezioso e fragile contenuto.
Fu difficile per Claudio scrivere alla fidanzata che la sua Vespa nuova era già ammaccata e momentaneamente fuori uso per l’incidente avvenuto in soggiorno.

Questo “sfortunato” incidente aveva causato la rottura della vetrina.

Le scrisse che quando sarebbe arrivata in Veneto per conoscere i suoi genitori e per vedere la casa, avrebbe trovato tutti i servizi spaiati e con la cesellatura rovinata, e si giustificava in anticipo se non avesse potuto sostituire il tutto per il gran giorno.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

L’eremita e l’esempio dello sparviero

L’eremita e l’esempio dello sparviero

Un eremita vide una volta, in un bosco, uno sparviero.
Lo sparviero portava al suo nido un pezzo di carne:
lacerò quella carne in tanti piccoli pezzi, e si mise a imbeccare anche una piccola cornacchia ferita.
L’eremita si meravigliò che uno sparviero imbeccasse così una piccola cornacchia, e penso:

“Dio mi ha mandato un segno.

Neppure una piccola cornacchia ferita viene abbandonata da Lui.
Dio ha insegnato addirittura ad un feroce sparviero a nutrire una creaturina d’altra razza, rimasta orfana al mondo.
Si vede proprio che Dio dà il necessario a tutte le creature:
e noi, invece, stiamo sempre in pensiero per noi stessi.
Voglio smetterla di preoccuparmi di me stesso!
Dio mi ha fatto vedere che cosa devo fare.

Non mi procurerò più di mangiare!

Dio non abbandona nessuna delle sue creature:
non abbandonerà neanche me!”
E così fece:
si mise a sedere in quel bosco e non si mosse più di là:
pregava, pregava, e nient’altro.
Per tre giorni e per tre notti rimase così, senza bere un sorso d’acqua e senza mangiare un boccone.
Dopo tre giorni, l’eremita s’era tanto indebolito, che non era più capace d’alzare la mano.

Dalla gran debolezza, s’addormentò.

Ed ecco apparirgli in sogno un angelo.
L’angelo lo guardò accigliato e gli disse:
“Il segno era per te, certo.
Ma perché tu imparassi ad imitare lo sparviero!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

L’alpinista e Dio

L’alpinista e Dio

Si narra che un alpinista, fortemente motivato a conquistare un’altissima vetta, iniziò la sua impresa dopo anni di preparazione.
Deciso a non spartire la gloria con alcuno, iniziò l’impresa senza compagni.
Iniziò l’ascesa ma si fece tardi, sempre più tardi, senza che egli si decidesse ad accamparsi, insistendo nell’ascesa.

Ben presto si fece buio.

La notte giunse bruscamente sulle alture della montagna e non si poteva vedere assolutamente nulla.
Tutto era tenebra, il buio regnava sovrano, la luna e le stelle erano coperte dalle nubi.
Salendo per un costone roccioso, a pochi metri dalla cima, scivolò e precipitò nel vuoto, cadendo a velocità vertiginosa.
Nella caduta, l’alpinista poteva appena vedere delle macchie scure e sperimentare la sensazione di essere risucchiato dalla forza di gravità.

Continuava a cadere…

In quegli attimi angosciosi, gli passarono per la mente gli episodi più importanti della sua vita.
Rifletteva, ormai vicino alla morte.
D’improvviso avvertì il violento strappo della lunga fune che aveva assicurato alla cintura.
In quel momento di terrore, sospeso nel vuoto, non gli rimase che gridare:
“Dio mio, aiutami!”
Improvvisamente una voce grave e profonda dal cielo gli domandò:

“Cosa vuoi che io faccia?”

“Mio Dio, salvami!” supplicò l’alpinista.
“Credi realmente che io possa salvarti?” chiese la voce.
“Sì, mio Signore. Lo credo.” replicò l’alpinista.
“Allora, recidi la corda che ti sostiene!” esclamò la voce.
Ci fu un momento di silenzio; poi l’uomo si avvinse ancora più fortemente alla corda.

Il resoconto della squadra di soccorso, afferma che l’alpinista fu trovato, ormai morto per congelamento, fortemente avvinghiato alla corda… a soli due metri dal suolo!

Brano senza Autore

Il biscotto, la nonna ed il bimbo

Il biscotto, la nonna ed il bimbo

Un bimbo raccontava alla sua nonna che tutto andava male: la scuola, problemi con la famiglia, malattie, ecc.
Intanto, la nonna preparava un biscotto.

Dopo averlo ascoltato, la nonnina gli disse:

“Vuoi fare merenda?”
Il bimbo rispose:
“Certamente!”
“Prendi, eccoti un poco di olio da cucinare!” esclamò la nonna.

“Mmm, ma non è buono da mangiare da solo!” replicò il bimbo.

“Cosa diresti di un paio di uova crude?” continuò la nonna.
“Mamma mia, che disgustose saranno, nonna!” rispose il bambino.
“Allora gradisci un po’ di farina di grano, o magari un po’ di lievito?” domandò la nonna.
“Nonna, sei diventata matta, tutto questo è immangiabile!” disse il bambino.

Allora la nonna rispose:

“Sì, tutte queste cose sembrano ripugnanti, se le consideri separate.
Però se le metti tutte insieme in maniera adeguata, formano un meraviglioso e delizioso biscotto!
Funziona così anche nella nostra vita.
Se ricordi (e prendi) solo le cose brutte, non riuscirai mai a vedere quelle belle.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il rabbino e l’ “amico” critico

Il rabbino e l’ “amico” critico

C’era un tempo un rabbino che la gente venerava come l’inviato di Dio.
Non passava giorno senza che una folla di persone si assiepasse davanti alla sua porta in cerca di un consiglio o della sua guarigione e della benedizione del sant’uomo.
E ogni volta che il rabbino parlava, la gente pendeva dalle sue labbra,

facendo propria ogni parola che diceva.

Fra i presenti c’era però un personaggio piuttosto antipatico, che non perdeva mai l’occasione per contraddire il maestro.
Osservava le debolezze del rabbino e ne sbeffeggiava i difetti, con sgomento dei suoi discepoli, che cominciarono a vedere in lui l’incarnazione del diavolo.
Un giorno però il “diavolo” si ammalò e morì.

Tutti tirarono un sospiro di sollievo.

Di fuori apparivano compresi come si conveniva, ma nel loro cuore erano contenti perché quell’eretico irriverente non avrebbe mai più interrotto i discorsi ispirati del maestro e criticato il suo comportamento.
La gente fu quindi sorpresa di vedere al funerale il maestro genuinamente affranto dal dolore.
Quando più tardi un discepolo gli chiese se era addolorato per la sorte del morto, egli rispose:
“No, no.
Perché dovrei compiangere il nostro amico che è ora in cielo?

E per me che sono triste.

Quell’uomo era l’unico amico che avevo.
Eccomi qui circondato da gente che mi venera.
Lui era il solo che mi metteva alla prova; temo che senza di lui smetterò di crescere!”
E mentre diceva queste parole, il maestro scoppiò in lacrime.

Brano tratto dal libro “La preghiera della rana.” di Anthony de Mello. Edizioni Paoline.

I due blocchi di ghiaccio

I due blocchi di ghiaccio

C’erano una volta due blocchi di ghiaccio.
Si erano formati durante il lungo inverno, all’interno di una grotta di tronchi, rocce e sterpaglie in mezzo ad un bosco sulle pendici di un monte.
Si fronteggiavano con ostentata reciproca indifferenza.
I loro rapporti erano di una certa freddezza.
Qualche “buongiorno,” qualche “buonasera.”

Niente di più.

Non riuscivano cioè a “rompere il ghiaccio!”
Ognuno pensava dell’altro:
“Potrebbe anche venirmi incontro.”
Ma i blocchi di ghiaccio, da soli, non possono né andare né venire.
Ma non succedeva niente e ogni blocco di ghiaccio si chiudeva ancora di più in se stesso.
Nella grotta viveva un tasso.

Un giorno sbottò:

“Peccato che ve ne dobbiate stare qui.
È una magnifica giornata di sole!”
I due blocchi di ghiaccio scricchiolarono penosamente.
Fin da piccoli avevano appreso che il sole era il grande pericolo.
Sorprendentemente quella volta, uno dei due blocchi di ghiaccio chiese:
“Com’è il sole?”
“È meraviglioso, è la vita!” rispose il tasso.
“Puoi aprirci un buco nel tetto della tana…
Vorrei vedere il sole…” disse l’altro.

Il tasso non se lo fece ripetere.

Aprì uno squarcio nell’intrico delle radici e la luce calda e dolce del sole entrò come un fiotto dorato.
Dopo qualche mese, un mezzodì, mentre il sole intiepidiva l’aria, uno dei blocchi si accorse che poteva fondere un po’ e liquefarsi diventando un limpido rivolo d’acqua.
Si sentiva diverso, non era più lo stesso blocco di ghiaccio di prima.
Anche l’altro fece la stessa meravigliosa scoperta.
Giorno dopo giorno, dai blocchi di ghiaccio sgorgavano due ruscelli d’acqua che scorrevano all’imboccatura della grotta e, dopo poco, si fondevano insieme formando un laghetto cristallino, che rifletteva il colore del cielo.
I due blocchi di ghiaccio sentivano ancora la loro freddezza, ma anche la loro fragilità e la loro solitudine, la preoccupazione e l’insicurezza comuni.
Scoprirono di essere fatti allo stesso modo e di aver bisogno in realtà l’uno dell’altro.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.